STORIA DELLE CASSEFORTI
Carlo Alfredo Clerici e Claudio Ballicu
La protezione dei beni preziosi ha radici antichissime. Nell'antico Egitto i tesori dei faraoni erano protetti in luoghi deputati grazie a finte stanze del tesoro e trabocchetti. Nella Grecia antica i tesori erano collocati in stanze protette con pesanti porte di bronzo. Nella Roma antica erano in uso forzieri di legno e metallo per contenere il denaro. Nel corso del tempo sono stati sviluppati mezzi tecnici sempre più raffinati e complessi per la protezione dei beni.
Antenati delle casseforti erano contenitori di legno rinforzati con piastre metalliche fissate con chiodi. Questi oggetti erano prodotti artigianali realizzati da fabbri o falegnami in base all’esperienza propria o della bottega di appartenenza. All'inizio dell’Ottocento, con l’affermarsi della borghesia aumentò la richiesta di sistemi per la proteggere il denaro. Grazie al contemporaneo svilupparsi dell'industria diversi produttori iniziarono così a realizzare e a mettere in commercio le prime casseforti moderne (fr. coffre – fort; sp. caja de caudales; ted. Geld – schrank ; ingl. safe).
In questi prodotti industriali il legno fu sostituito dal metallo. Le tecniche metallurgiche ebbero quindi un’importanza crescente nella realizzazione di questi oggetti. Obiettivo della produzione industriale era ottenere un materiale abbastanza duro da resistere al taglio e alla perforazione ma abbastanza flessibile per resistere se sottoposto a percussione. Il ferro fu il materiale più spesso usato all’inizio, poi in combinazione con il carbone per ottenere l'acciaio. In Europa Occidentale si era diffusa all’inizio del Seicento una tecnica di produzione artigianale dell’acciaio, chiamata cementazione, basata sull’arricchimento di carbonio del ferro battuto scaldando il metallo in presenza del carbone.
Produrre industrialmente l’acciaio richiedeva costosi altiforni e diverse tecniche per l’affinazione della ghisa che per lungo tempo furono impraticabili. La tecnica del "puddellaggio" che fu in uso fino al 1860 prevedeva di versare la ghisa in un crogiolo riscaldato dal carbone posto in una camera di combustione separata. In questo modo il bagno di metallo contenuto era riscaldato e si poteva procedere all'affinazione della ghisa; la temperatura tuttavia non era sufficiente per mantenere la massa metallica fluida e fusa. Vi era quindi la necessità di scaldare e agitare continuamente il bagno per evitarne il raffreddamento e la solidificazione (da qui il nome della tecnica, dal verbo inglese “to puddle” che significa mescolare). Nella prima parte dell’Ottocento l'acciaio continuò ad essere fabbricato per lo più tramite cementazione, seguita a volte dalla rifusione per produrre acciaio in crogiolo.
Il problema di produrre industrialmente acciai economici fu risolto nel 1855 da Henry Bessmer con l'introduzione del convertitore che prese il suo nome. Con questa tecnica nata a Sheffield in Inghilterra la ghisa grezza fusa prodotta dall'altoforno era inserita in un crogiolo di grandi dimensioni. Era poi soffiata dell’aria attraverso il materiale fuso, che bruciava il carbonio disciolto dal coke. Con la combustione del cocke, il punto di fusione del materiale aumentava, ma il calore proveniente dal carbonio in fiamme assicurava che il miscuglio restasse allo stato fuso. L'impiego dei convertitori ad aria, consentì di abbandonare le precedenti tecniche di produzione dell’acciaio troppo lente e dispendiose. L’acciaio, che prima era un metallo molto costoso ed era impiegato soltanto dove era necessario disporre di un metallo estremamente duro o flessibile, come negli attrezzi da taglio e nelle molle, divenne materia prima per la produzione indusriale di oggetti su larga scala. L’acciaio iniziò anche ad essere miscelato con metalli diversi come il manganese e ciò permetteva di ottenere caratteristiche particolari di resistenza, conduttività termina e resistenza alla perforazione. Grazie alla prodiuzione industriale di acciai la fabricazione di casseforti ebbe importanti progressi. Nel 1860, Chatwood, fabbricante inglese di casseforti utilizzò per la produzione l’uso di due fogli d’acciaio entro cui era fuso del metallo con il risultato di ottenere lastre era estremamente difficili da perforare. Questa tecnica era più efficace rispetto al semplice moltiplicare il numero di lamiere d’acciaio.
Lastre d’acciaio ad alto tenore di carbonio poste attorno ad uno strato di acciaio meno duro permettevano di ottenere pareti resistenti al taglio e alla fiamma ossidrica. Lastre di rame poste fra le piastre d’acciaio furono usate per disperdere il calore e impedire che la barriera d’acciaio raggiungesse il punto di fusione.
Dalla metà dell’Ottocento gli scassinatori di casseforti disponevano di mezzi di scasso e di esplosivi ma contemporaneamente i fabbricanti di casseforti svilupparono difese sempre più efficaci. Furono introdotte in quel periodo varie migliorie per proteggere le casseforti dagli incendi e dalle azioni di scasso. Nel 1857 John Chubb brevettò un sistema contro le aggressioni con i trapani mediante piastre di acciaio a protezione dei meccanismi e diverse furono le migliorie negli anni successivi . Fra le diverse migliorie che videro la luce negli anni successivi, dobbiamo ricordare le tecniche per unire le diverse parti metalliche delle casseforti; viti, rivetti e saldature furono gradualmente sostituite dall’impiego di fusioni monoblocco.
In quegli anni la concorrenza fra i costruttori portò a utilizzare dimostrazioni comparative condotte in pubblico. Sulla scia della “London Exhibition” la mostra delle invenzioni e della tecnologia che si teneva annualmente nel Regno Unito, nacque la “Paris Universal Exibition” l’equivalente francese della mostra londinese, tenuta nei famosi Champ de Mars, un grande spazio pubblico situato a Parigi nei pressi della Tour Eiffel e dell’Ecole Militaire. Qui, nel 1867, Samuel Chatwood insieme ad altri fabbricanti di casseforti, diede pubblica dimostrazione della loro resistenza e degli attrezzi necessari ad attaccarle, come riportato in quest’immagine.
Il premio in palio, per chi fosse riuscito nell’impresa, era di 30.000 franchi, una cifra davvero notevole, per l’epoca.
Nel tempo divennero più evolute le tecniche per unire le diverse parti metalliche delle casseforti. Viti, rivetti e saldature furono gradualmente sostituite dall’impiego di fusioni monoblocco. I fabbricanti di casseforti continuarono a sviluppare e impiegare diverse combinazioni di metalli per migliorare la sicurezza dei loro prodotti.
Diverse industrie di casseforti sorte nell'Ottocento sono tuttora in attività e occupano posizioni di leader nel mercato.
La Sargent e Greenleaf, fondata negli Stati Uniti nel 1857 da James Sargent and Hobart Greenleaf, è oggi una delle più conosciute fabbriche di serrature a chiave e a combinazione per casseforti.
Nel 1825 Alexandre Fichet aprì a Parigi un atelier di serrature e nel 1840 creò la sua prima cassaforte incombustibile. Kaba costruisce casseforti dal 1862.
In Italia, nel 1800, Francesco Vago faceva il fabbro in una sua bottega artigiana a Milano. La sua specializzazione in serrature aveva fatto sì che il suo nome girasse in tutta la città. Insomma, il lavoro non mancava. Pian piano l’azienda si ingrandì finché, nel 1911, avvenne la fusione con l’importante azienda olandese Lips. La neonata Lips-Vago inizialmente produceva scaffalature metalliche per biblioteche ed archivi e solo in un secondo tempo iniziò a produrre casseforti.
In Italia, nel 1870, fu fondata la Parma Antonio & Figli. Il simbolo della sfinge, marchio di fabbrica di questa dinamica azienda, sta a simboleggiare l’inviolabilità dei loro prodotti.
Più recentemente, nel 1912, nasce la Premiata ditta Conforti. Inizialmente una tipica bottega artigiana creata da Silvio Conforti grazie alla vincita di un concorso indetto dalla Camera di Commercio Veronese, con la presentazione di una cassaforte-capolavoro e negli anni, cresciuta fino a diventare, nel ’49, società per azioni.
Nel 1922 nasce, in provincia di Milano, la Juwel, produttrice di una vasta gamma di serrature (a marchio Sercas) e di casseforti.
Nel 1942 Vincenzo Rossetti fonda a Casalecchio (BO) la VI.RO, fabbrica di serrature, lucchetti e casseforti.
Nel ventesimo secolo divennero parametri essenziali per una cassaforte l'inviolabilità delle serrature, l'incombustibilità e la coibenza delle pareti; la resistenza assoluta ai cannelli ossidrico e ossiacetilenico e all'arco elettrico. In particolare agli inizi del 900 in Francia venne inventato il cannello ossiacetilenico, allora chiamato la fiamma Fouché dal nome dell'inventore. Fu un evento molto importante per i mezzi forti Ciò che prima era praticamente inviolabile divenne facilmente attaccabile. I costruttori di casseforti corsero ai ripari e si rese necessario lo studio di leghe piu resistenti al calore, come lastre di ghisa speciale di grosso spessore , per ripristinare la precedente sicurezza. Nelle casseforti di grandi dimensioni e i caveau si ricorse anche a doppie pareti in acciaio con intercapedini riempiti con diversi materiali. Il migliore si dimostràò il calcestruzzo e i fabbricanti ne studiarono formule speciali con cementi fusi, al silicio e al quarzo si aggiunsero materiali diversi per ottenere inconbustibilità, indeformabilità a caldo e a freddo, durezza e resistenza a tutte le sollecitazioni meccaniche. Un’evoluzione nelle tecniche di produzione delle casseforti vi fu utilizzando le leghe impiegate per la produzione delle corazzature militari e in particolari quelle navali negli anni a cavallo del Primo conflitto mondiale. Per resistere al cannello ossiactilenico furono adottate leghe complesse di rame, acciaio, manganese, carbonio, cromo, silicio e altri minerali. Per gli spessori più grandi furono usate lastre formate da strati di acciai al cromo in cui si alternavano rame, amianto, mica, eternit, collegati fra loro da ghisa inserita in fori praticati entro gli strati.
Negli anni Trenta la Chubb e altre società, introdussero i meccanismi a trappola (relockers) nelle serrature come difesa contro l’uso degli esplosivi e il cannello ossiacetilenico.
Si tratta essenzialmente di meccanismi formati da perni di acciaio messi in tensione da molle e tenuti a riposo da cordini di nylon di forte spessore o da segmenti di vetro temperato. In caso di attacco con trapani, carotatrici o con il cannello ossiacetilenico, il cordino di nailon fonde o il segmento di vetro si frantuma liberando i perni di acciaio che vanno ad interferire irreversibilmente con i catenacci impedendone per sempre l’apertura.
A quel punto l’unica soluzione è il taglio della corazza della cassaforte, quindi la sua distruzione. Infatti i meccanismi-trappola, chiamati anche ribloccatori o relockers, sono la ”extrema ratio” in caso di attacco violento da parte di bande attrezzate.
A partire dagli anni Settanta con l’avvento della grande distribuzione anche nel settore della carpenteria e del fai da te si diffusero modelli di casseforti di fascia molto economica.