ANTICHI SCASSINATORI

Al fortunato volume "Trentadue Anni di Servizio nella Polizia Italiana: Memorie del Maggiore Cav. Domenico Cappa (Ex-Comandante Delle Guardie di P. S. Di Milano)" seguì "Nuove memorie del Maggiore Cav. Domenico Cappa" in cui si legge di un'interessante indagine sulle tracce dello scassinatore Giuseppe Pavia.

La banda di Giuseppe Pavia fu forse la più nota fra quelle che imperversarono a Torino, terrorizzando la città, tra l’estate e l’autunno del 1854 sa ben poco: nativo di Castelnuovo Calcea, si trasferì a Torino dove aprì un negozio da salumiere e prestò contemporaneamente servizio militare nel Corpo del Treno della Provianda. Non si sa dove e come apprese quella straordinaria abilità nel fabbricare chiavi false che gli venne universalmente riconosciuta, né quale motivo lo spinse a delinquere oramai trentasettenne e al termine di un’esistenza senza macchie sulla fedina penale: tuttavia, nell’estate del 1854 egli mise a segno cinque furti nelle case di alcuni tra i più importanti esponenti della società cittadina, come il barone Bonifacio Visconti, il cavaliere Martin Arnaud, il conte Umberto Scarampi, il marchese Domenico Ballestrino del Carretto, l’avvocato Giuseppe Vacchetta e il marchese Emanuele Luserna di Rorà, mettendo assieme un bottino superiore alle centosessantamila lire, una cifra incredibile per l’epoca. Egli, sfruttando la lunga assenza dei padroni di casa che trascorrevano l’estate in campagna, era divenuto “espertissimo” nell’usare la tecnica delle chiavi false che realizzava personalmente dopo aver preso l’impronta delle serrature delle porte grazie a una macchinetta di sua invenzione. Per compiere questi furti, Pavia non costituì una vera e propria banda ma si avvalse dell’aiuto di vari complici che alternava a seconda del furto che aveva intenzione di compiere, e ai quali assegnava una parte modesta del bottino. Nonostante la quasi totalità della banda fosse stata arrestata già tra agosto e settembre del 1854, il processo si aprì solo nel 1856 dopo una lunghissima istruttoria, e si concluse con pene severissime, rapportate alla gravità dei reati commessi sulle proprietà di persone di elevatissima condizione sociale. A Pavia, in quanto organizzatore e autore di tutti i furti, toccò la pena più pesante, pari a venti anni di lavori forzati. Anche ai suoi complici tuttavia non andò molto meglio: degli altri quindici imputati solo due vennero assolti, mentre sei vennero puniti con pene tra i dieci e i quindici anni, tutte da scontare ai lavori forzati. Evaso nell’autunno del 1858 dal bagno penale di San Bartolomeo a Cagliari, si rifugiò nell’Astigiano dove riprese a compiere furti nelle abitazioni, utilizzando la medesima tecnica che aveva già sperimentato precedentemente. Dopo un furto messo a segno ad Asti, con alcuni complici si spostò a Torino dove mise a segno almeno cinque ingentissimi furti con scasso che gli fruttarono un bottino di oltre centoventimila lire. Nonostante la polizia fosse riuscita ad arrestare i suoi complici già nella primavera del 1860 Pavià sfuggi alle sue ricerche fino all’agosto dell’anno successivo, quando venne arrestato dopo un’irruzione nella sua casa in San Salvario. Condannato a venticinque anni di lavori forzati, Pavia morì nel bagno penale di Gaeta il 15 agosto 1887.

Da “Torino fuorilegge: Criminalità, ordine pubblico e giustizia nel Risorgimento” di Andrea Bosio. Franco Angeli, Milano 2019.

Louis Puibaraud. Les malfaiteurs de profession. Ernest Flammarion. Parigi 1893.

Testo dedicato ai mestieri criminali con un capitolo dedicato agli scassinatori.

Testo completo al link di Gallica

Edward H. Smith. Safes and Safe-Breakers—II. Scientific American , Vol. 127, No. 5 (NOVEMBER 1922), pp. 300-301, 359-360