COVI E CASSEFORTI

Il 15 gennaio 1993 è stata una data storica. Era un venerdì quando Totò Riina, latitante da oltre 23 anni, fu arrestato sulla circonvallazione di Palermo. U curtu così soprannominato per la sua bassa statura fu catturato dal Crimor, una squadra speciale del Raggruppamento Operativo Speciale guidata dal Capitano Ultimo e dall’allora colonnello Mario Mori. Un bliz di quindici minuti mise fine alla carriera del re dei Corleonesi.

L'arresto del protagonista della stagione delle stragi dimostrava a tutti che Falcone, Borsellino, Chinnici e tanti altri non erano morti né soli né invano.

In quindici anni, Totò Riina aveva attaccato lo Stato come nessun altro mafioso aveva mai osato prima: aveva ucciso magistrati, politici, giornalisti, poliziotti, uomini delle forze dell’ordine.

Da quel 15 gennaio 1993 a Riina è stato sempre stato riservato il trattamento del 41 bis, con lunghi periodi di isolamento: fino al luglio del 1997 è stato rinchiuso nel supercarcere dell’Asinara, in Sardegna, poi nel carcere di Marino del Tronto, ad Ascoli Piceno, a Opera, infine a Parma. Riina è morto il 17 novembre 2017 alle 3.37 nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma senza aver mai mostrato un cenno di pentimento. È rimasto muto fino alla fine, portandosi nella tomba tutti i segreti di cui era depositario. Venticinque ergastoli sono stati la massima punizione che lo Stato italiano gli ha dato.

Dalla sentenza del Tribunale di Palermo Sezione Terza Penale del 20 febbraio 2006, concernente la vicenda della mancata perquisizione della villa nella quale abitava Salvatore Riina all'epoca del suo arresto, si ricava che:

- la individuazione della villa all'interno di un residence con ingresso nella via Bernini di questa città e la perquisizione della stessa sono stati effettuati per la prima volta il 2 febbraio 1993, trovando l'immobile svuotato da ogni cosa, con i mobili accatastati e le pareti ritinteggiate;

- all'epoca del fatto il comandante del ROS era il Gen. Antonio Subranni ed il vice comandante operativo era il Col. Mori;

- nel luglio 1992, secondo quanto riferito dall'allora Col. Sergio Cagnazzo (cfr. deposizione resa all'udienza dell' l giugno 2005), all'epoca vicecomandante operativo della Regione Sicilia, si tenne una riunione presso la Stazione dei Carabinieri di Terrasini, cui parteciparono il comandante di quella stazione M.llo Dino Lombardo, il superiore gerarchico di quest'ultimo, Cap. Baudo, all'epoca comandante della stazione di Carini, il Magg. Mauro Obinu, in servizio al ROS, i Capitani Sergio De Caprio e Giovanni Adinolfi, al fine di costituire una squadra, composta sia da elementi del ROS che della territoriale, che avrebbe dovuto occuparsi in via esclusiva delle indagini finalizzate alla cattura di Salvatore Riina;

- vi fu, poi, una seconda riunione nel mese di settembre, cui parteciparono i medesimi Col. Cagnazzo, M.llo Lombardo, Magg. Obinu, Cap. De Caprio ed il M.llo Pinuccio Calvi, in servizio presso la prima sezione del ROS, nella quale il Lombardo indicò in Raffaele Ganci, a capo della famiglia mafiosa del quartiere denominato "Noce" di Palermo, e nei suoi figli le persone più vicine al Riina in quel momento, in quanto incaricate di proteggerne la latitanza;

- Baldassare Di Maggio venne arrestato a Borgomanero, a seguito di una perquisizione e del conseguente rinvenimento di un'arma, in data 8 gennaio 1993 e, condotto in caserma, ebbe a parlare col Gen. Delfino, comandante della Regione Piemonte e Valle d'Aosta dei Carabinieri;

- il 9 gennaio 1993 Di Maggio ebbe ad indicare come accompagnatori del Riina Raffaele Ganci e Giuseppe (detto Pino) Sansone, nonché alcuni luoghi in cui egli in passato lo aveva incontrato, oltre ad altri due soggetti che lo frequentavano, tale Vincenzo De Marco (che abitualmente, a suo dire, accompagnava i figli del Riina) e tale Salvatore Biondolillo (successivamente identificato in Biondino Salvatore, soggetto in compagnia del quale Riina venne, poi, arrestato il 15 gennaio 1993);

- 1'11 gennaio 1993 Di Maggio fu trasferito a Palermo e custodito in caserme dei Carabinieri;

- tra i luoghi indicati da Di Maggio, vi era anche un casolare sito nel Fondo Gelsomino in Palermo, nel quale, in particolare, egli aveva incontrato cinque anni prima Riina insieme a Raffaele Ganci;

- il 13 gennaio 1993 fu individuato il complesso residenziale ove abitavano i Sansone e, specificamente, quel Pino Sansone indicato da Di Maggio;

- il giorno 14 gennaio 1993 venne posizionato dai Carabinieri un furgone, dotato di telecamera interna, a circa una decina di metri dal cancello, di tipo automatico, che consentiva sia l'ingresso che l'uscita delle autovetture dalla via principale al viale interno del residence, conducente alle varie villette di cui era costituito;

- quella stessa sera, visionando le cassette con le registrazioni, Baldassare Di Maggio riconobbe, nelle immagini che stava visionando, uno dei figli di Salvatore Riina, la moglie "Ninetta" Bagarella e l'autista Vincenzo De Marco;

- l'indomani mattina fu ripreso il servizio di osservazione, notando, alle ore 8.52, Salvatore Biondino che entrava nel complesso e ne usciva alle ore 8.55 in compagnia del Riina, seduto sul lato passeggero, riconosciuto da Di Maggio che si trovava all'interno dello stesso furgone;

- informato immediatamente via radio, il Cap. De Caprio con i suoi uomini procedeva all'arresto del Riina e del Biondino alle ore 9.00 su v.le Regione Siciliana, altezza P.le Kennedy, a circa 800 metri di distanza dal complesso di via Bernini;

- il furgone rimase sul posto, con ancora all'interno Di Maggio, sino alle ore 16,00 e quella stessa sera, secondo quanto riferito dai testimoni M.lli Santo Caldareri e Pinuccio Calvi, il Cap. De Caprio espresse l'intenzione di non proseguire il servizio l'indomani per ragioni di sicurezza del personale impiegato;

- nella conferenza stampa il Gen. Cancellieri ebbe a riferire la versione concordata, secondo cui il Riina era stato intercettato, casualmente, a bordo della sua auto guidata da Salvatore Biondino, mentre transitava sul piazzale antistante il Motel Agip;

- il Dott. Luigi Patronaggio, pubblico ministero di turno, già nella mattinata del 15 gennaio 1993, aveva, d'accordo con il nuovo Procuratore della Repubblica appena insediatosi, il Dott. Giancarlo Caselli, predisposto i relativi e necessari provvedimenti per procedere alla individuazione della villa all'interno del residence ed alla sua perquisizione e, a tal fine, era stata già disposta la costituzione di due squadre, con gli uomini dei gruppi l e 2 del Nucleo Operativo guidati dal Magg. Balsamo e dal Cap. Minicucci, i quali avrebbero dovuto procedere dapprima agli accertamenti sui luoghi ed in seconda battuta, una volta, appunto, individuata la villa, alla perquisizione di questa;

- le due squadre rimasero in attesa per tutta la mattina, ma non si procedette alla perquisizione in considerazione della richiesta del Cap. De Caprio prima e del Col. Mori poi, di soprassedere all'operazione al fine di non pregiudicare possibili sviluppi investigativi;

- già il 16 gennaio 1993 il Commissariato di P.S. di Corleone comunicò il rientro a Corleone dei familiari di Riina e lo stesso giorno alcuni i giornalisti, sulla base di una confidenza del Magg. Ripollino, avevano individuato il residence di via Bernini;

- in data 21 gennaio 1993 si procedette, con ampio spiegamento di forze e risalto mediatico, alla perquisizione del Fondo Gelsomino, di cui, in precedenza (nel corso delle indagini che infine avevano condotto all'arresto del Riina) era stata verificata l'assenza di elementi collegabili alla presenza del Riina medesimo;

- infine, in data 2 febbraio 1993 si procedette alla individuazione ed alla perquisizione, da parte del Nucleo Operativo dei Carabinieri, della villa in cui aveva abitato Riina con la sua famiglia, constatando, secondo quanto riportato nella sentenza in esame, "l'esistenza di: un guardaroba blindato ali 'interno della camera da letto matrimoniale; all'altezza del pianerottolo, un intercapedine in cemento armato di forma rettangolare di mt. 3x4 di larghezza e 75 cm di altezza, chiusa da un pannello di legno con chiusura a scatto e chiavistello; nel sottoscala, a livello del pavimento, una botola lunga circa mt 2 chiusa da uno sportello in metallo con serratura esterna; nel vano adibito a studio, una cassaforte a parete chiusa che, aperta dall 'adiacente vano bagno, risultò vuota".

Per immagini del covo di Totò Riina si veda il link a Flickr